martedì 9 giugno 2015

Ristorante Opera


A L'Avana le cose succedono per caso ma succedono con sicurezza. È uno strano paradosso ma corrisponde alla realtà. Me lo enunciò anni fa un cubano con il proposito di sorprendermi e non ci riuscì, ma poi nel tempo gli ho dato ragione. Agli appuntamenti le persone non vengono, oppure lo fanno con giorni di ritardo, o inventano cazzate, o muoiono, però finisce che poi le ribecchi con una sicurezza che in termini statistici sfiora il 100%. Serve solo pazienza, giornate che seguano la rivoluzione di Giove, altro da fare. Un mondo minuscolo che segue regole diverse dalle nostre ma che funzionano.
Questo per raccontare che mesi fa stavo in un'assurda trafila per immatricolare il motore della moto e, tra i duecento giri che mi hanno obbligato a fare, c'era pure una capatina in un'officina di 10 de octubre. Per cosa? Boh. Firmare fogli. Controfirmarli. Sto lì mentre fuori piove e attendo che il capo-officina venga a mettere firme, appunto. Arriva. È un negro di una sessantina d'anni. Distinto. La solita domanda: "Italiano?". La solita risposta colpevole: "Sì". "Mia figlia sta con un italiano...". Affermazione insidiosa. Potrebbe essere un matrimonio esemplare ma anche il preambolo ad un racconto di riduzione in schiavitù nel casertano. Prendo tempo. "Conosci Opera?". Mi disorienta. "Pavarotti? Caruso? 'Sta gente qui?" - "No, il ristorante, Opera..." - "No, non lo conosco...". Faccia contrariata del tipo. "È il ristorante di mio genero, l'ha appena aperto... Ci deve andare...". Rifletto. La sua firma è importante. Decido di recitare la parte del buon italiano. "Interessante... Ci vado volentieri... Dove si trova?" - "In Vedado... Questo è l'indirizzo... Stasera io sono lì..." - "Ah, ok, ho capito dov'è... Mi sa proprio che stasera ci faccio un salto...". Il tipo mette la firma soddisfatto. Sugli ultimi svolazzi penso: "Col cazzo che ci vengo...", ma continuo a sorridere come il primo Salvo Randone.
Mesi dopo. Tre giorni fa. Un'amica ha in serbo una sorpresa. Ti porto in un posto pazzesco. Dove? Ma no, fidati, è un posto che ti piacerà. Li conosco tutti, dimmi come si chiama. Alessà, non rompere il cazzo, ti ho detto che è una sorpresa! Ovviamente mi porta ad Opera. Una bella villa del basso Vedado. Bei tavoli all'aperto e atmosfera che mi piace. C'è poca gente ma in lontananza noto un negro seduto vicino alla cassa. Tutto torna. È quel negro. Forse mi riconosce, non lo so. Io edifico un ideale muro di travertino tra il mio sguardo e quella direzione. In cambio il padrone, un italiano di una regione indecifrabile, è simpatico. Tira fuori un menu incredibile. Parto con un polpo stupendo e poi con ravioli alla zucca mai mangiati così buoni a Cuba. Coppe di vino bianco e prezzi onestissimi. Un dolce strepitoso e poi tragos de rum. Un posto davvero bello. La mia solita diffidenza che si scioglie come il cubetto di ghiaccio che ho nel bicchiere. Sarà stata anche la bellezza delle chiacchiere di quella sera. Quelle che non tiri per i capelli ma vengono fuori così, come soffi benigni di vento; sarà stata questa stagione di piogge fenomenali che diventano sterzate a gomito verso un sole rovente senza avvisare; sarà che Opera è un nome che lego a mio fratello e già per questo mi ricorda casa; sarà che tutto torna e non si può mancare agli appuntamenti dati a L'Avana. Prima o poi si chiude il cerchio. Sarà tutto questo ma prima di ogni altra cosa la bontà di quello che ho mangiato e la dolcezza del posto che mi fanno consigliare Opera. Fateci un salto e pensatemi. Finirete col dire: "'Sto Alessandro, alla fine, non dice sempre e solo cazzate...", e a me va bene così. Ah, l'indirizzo non l'ho preso e non me lo ricordo. Ci so arrivare ma non vi risolve niente. Informatevi, io la dritta ve l'ho data.