sabato 19 settembre 2015

Le piogge di settembre


Siamo io e Maurizio. Abbiamo appena finito di vedere Roma Barcellona dalla "tribuna Siboney" e torniamo a casa. La tribuna Siboney è la splendida casa di Fabio che settimanalmente riunisce una decina di romanisti sfegatati. Atmosfera stupenda: il nostro dialetto, prelibatezze, chiacchiere, tifo, la Roma. Quella specie di malinconia diffusa, quella distanza che colmiamo parlando più romano ancora, citando ricordi, in un labirinto di parole private dove troviamo solo noi la strada. Io e Maurizio per strada. Da Siboney prendiamo Quinta e cade sulla macchina una tempesta tropicale. Si annunciava da ore ma adesso viene giù con la forza di un tuono interminabile. Quinta si inonda. Dalle traverse scendono fiumi d'acqua che mettono paura. Macchine ferme. Il Moskovic di Maurizio tira dritto come un guerriero coraggioso. Solleva creste d'acqua come una barca a vela ma va avanti nonostante tutto. Maurizio mi dice che il segreto delle macchine a benzina è lo spinterogeno. Se si bagna quello, è finita. Mentre camminiamo a passo duomo penso che mi piacciono le piogge  di settembre. Queste piogge. Hanno il sapore del rimescolamento delle pedine del domino. Aria nuova. "Agua", dicono qui. Un'altra partita ancora. Una specie di rivoluzione. Parliamo ancora. Delle prestazioni dei giocatori. Di certe intuizioni tattiche. Ma io sono altrove. Penso a questo settembre. Alla rivoluzione permanente che mi attraversa. A queste piogge terrificanti che mi infliggo per cambiare ancora le tessere della mia partita. Mi domando se abbia un senso parlare della mia rivoluzione permanente. Se non sia una contraddizione in termini.

Sta per uscire un mio nuovo libro e sono contento. Ne sto scrivendo un altro che mi cattura spesso i pensieri come una donna impossibile. Scrivo poco. La solita storia, il solito braccio di ferro tra la vita, la sopravvivenza e la scrittura. Li lascio fare come fosse qualcosa che non mi riguarda. Tanto è là che dobbiamo tornare, io e la mia vita. Davanti ad una pagina bianca a rimettere a posto le cose. Giorni fa io e Mabel siamo andati di sera a fare le foto al Morro per la copertina del mio prossimo libro. Abbiamo preso la moto ed abbiamo percorso una strada infinita: Regla, Guanabacoa, Alamar fino al Morro Cabaña. È stato bellissimo. Abbiamo scattato centinaia di foto, abbiamo seguito il rito del cañonazo e poi abbiamo mangiato qualcosa. Siamo tornati a casa di notte. Era una bella notte. Quasi fresca. Sapevamo entrambi della rivoluzione imminente. Sogni diversi. Lei fra poco va in Spagna a studiare e io resto qui. La solita storia. Faccio l'appello interiore per chi resta. Come in classe. Non resto da solo. Non resti da solo, Alessandro.
Quando piove così non valgono le regole di sempre. Percorriamo tratti del viale pedonale centrale di Quinta. Lo fanno in molti. Il Moskovic sbuffa, perde colpi, ma non si spegne. Mi ricorda il mio cuore sgangherato di settembre. Il mio cuore sgangherato di sempre. Accelerazioni e passaggi a vuoto. Malinconie, mancanze, ma poi, quella misteriosa energia per andare avanti, una mano ancora, una partita ancora.
Arriviamo a casa e piove ancora. Aspettiamo che spiova parlando di nulla: ancora qualche considerazione sulla partita ma poi silenzi. Poi progetti slabbrati come solo a L'Avana è possibile farne. Io penso alle settimane che vengono. Al suo fantasma che poco a poco uscirà di casa. Senza far rumore. Ai miei prossimi rilanci. Alla testa sotto alla sabbia. Penso a settembre e alle piogge furiose di L'Avana. Quelle che sembrano non finire mai o uccidere tutto. Poi per miracolo torna il sole. Inatteso, improbabile. A rimettere le regole. A illuminare le strade. A far tornare mondo il mondo. A raccontare una volta ancora, a uomini che non vogliono crescere, che esiste un percorso ed un fine.