mercoledì 19 maggio 2021

La Guagua, manuale di sopravvivenza

La Guagua

Oggi vorrei parlare della Guagua. Cos'è la Guagua? In modo riduttivo potrei dire che è l'autobus ma, detto così, non avrei neanche minimamente descritto l'universo che si nasconde dietro quelle porte (spesso rotte) in cui entra e da cui quasi sempre esce l'umanità cubana.


Allora potremmo accarezzare l’idea di prendere l’autobus. Ecco, gli autobus. Messi a riposo da un po’ di anni i camellos (autobus che si articolavano su più livelli formando una specie di inutile gobba, con un’aerazione interna da catacomba paleocristiana e che al terzo chilometro raggiungevano la temperatura di fusione del piombo) il parco di guaguas avanero si è rinnovato con gli splendidi Yutong. 

Alimentati con una miscela complessa di catrame purissimo e morti, le emissioni degli Yutong determinano un disastro ecologico ad ogni corsa equivalente all’affondamento di una petroliera russa.

Se hai la moto diventa esperienza folcloristica e divertente quella di incolonnarsi ai semafori dietro a uno Yutong. Quando scatta il verde fai bene a cambiare itinerario e dirigerti immediatamente all’oncologico e lasciarti intubare.

Se stai dentro uno Yutong tutto questo non lo sai. La guagua a Cuba é un mondo a parte. Una specie di giungla. La persona più responsabile dovrebbe essere l’autista ma appena sali ti accorgi di essere solo e disperato: l’autista è matto.

Gli autisti della Guagua

Gli autisti degli autobus all’Avana sono malati di mente. Mi prendo la responsabilità di un’accusa così terribile. Entri e lui ha la musica a palla. Decibel da discoteca di Riccione senza un perchè. E poi non Mozart ma reggueton sudicio al confine tra la pornografia e l’associazione mafiosa e lui quasi sempre indossa occhiali da sole come il primo Aleandro Baldi. 

Tutto questo basterebbe per scendere. Ma lui incassa i tuoi spicci ballicchiando sul posto, tamburellando con le mani e poi, senza preavviso, scatta come Alain Prost. Vecchie decapitate, bambini che volano dai finestrini, palpeggiatori discreti che diventano improvvisamente papà.

Il pilota di guagua vive la sua professione come una gara ininterrotta contro i suoi demoni. Sorpassa e vince contro fantasmi. Corre come un invasato, suona il clacson, in una specie di crisi nervosa ininterrotta. 

In Italia uno così verrebbero a toglierlo dall’abitacolo con frecce di sonnifero da orso, in America lo abbatterebbero con i tiratori scelti, all’Avana vedi solo un paio d’espressioni corrucciate e sguardi nel vuoto. Boh. Profonda saggezza. Hanno ragione loro.

Poi si fermano. Questo é importante. I piloti si fermano così, a cazzo di cane. Non scherzo: freno a mano e bloccano arterie fondamentali della città per questioni loro. 

Una volta, in calle tercera, uno si è fermato cinque minuti per prendere un caffè. Io ero là. Incollato dal sudore ad una parete di avambracci altrui aspettando il coglione che era sceso a prendere un caffè. 

Un’altra volta Alain Prost ha inchiodato per salutare il collega alla guida di un altro Yutong che veniva in senso opposto. Cinque minuti di chiacchiere sui cazzi loro. “Tua sorella alla fine ha partorito? Un maschietto? Coño compadre como me alegro. E come l’avete chiamato. Pedro? Bel nome. Senti, ma poi alla fine l’hai trovato quel paraurti…”

Così. Tutto vero. Dietro, in entrambi i sensi, file indemoniate che arrivavano in periferia ma quelli continuavano la loro chiacchierata intima. Poi, pacche, saluti virili e siamo ripartiti.

Attenzione! A certe fermate non si fermano. Così. Non si fermano e punto. Vedono troppa gente oppure quel luogo gli evoca brutti ricordi dell’infanzia e quelli tirano dritto. Qualcuno sbraita ma non c’è verso. Una gestione del servizio pubblico ispirata alle tradotte di Ivan il terribile.

I maniaci sulla Guagua

Un capitolo a parte riguarda i maniaci. All’Avana esistono uomini il cui unico hobby, quasi lavoro, è quello di salire sugli autobus e strusciarsi alle chiappe delle donne. Succede anche a Roma ma la densità avanera è impressionante. Su 100 viaggiatori di sesso maschile, almeno una trentina sta lì per le chiappe. Un lavoro faticoso, dove solo i veri professionisti durano nel tempo.

Si dividono l’autobus per zone e poi, fingendo di essere assorbiti nella lettura di un numero del Granma del febbraio del 1972, iniziano uno strusciamento penoso facilitato dalla guida di quello psicolabile di Alain Prost. 

Le donne più sveglie e mature se ne accorgono subito e reagiscono con calci e insulti, mentre le più giovani e inesperte subiscono il subdolo assalto di questi disperati e ne diventano consapevoli solo quando finisce la loro età dell’innocenza.

I borseggiatori

Di quei cento di cui si parlava, almeno una decina sono borseggiatori. Se sei straniero fai bene a metterti il portafoglio nelle mutande e anche il cellulare.

Anni fa mi si stringeva il cuore ogni volta che Gianluigi – un amico italiano che veniva in guagua dall’Avana Vecchia fino a Playa per insegnare nella mia scuola – si palpava le tasche e immancabilmente si accorgeva di non avere il telefono

“Cazzo, Gianluì, ci devi stare più attento”, gli dicevo. Lui ricostruiva certi passaggi della sua corsa in autobus e allora capiva. Troppo tardi, chiaramente. Al decimo telefonino ha scelto saggiamente di lavorare da casa.

Su un autobus notturno ho dato anche il mio primo bacio a mia moglie e questo me li fa amare gli autobus. Ma questa è un’altra storia e poi quella notte Alain Prost aveva il giorno libero ed è stata una corsa leggera, quasi un sogno.

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